Oggi è stata una giornata dura.
Raffreddore, febbre, tosse.
Meeting, clienti scontrosi, colleghi preoccupati...
Auto guaste, traffico e nebbia, la multa di un ente su
alcune gabelle di 10 anni fa dimenticate da una agenzia distratta.
Una giornata dura.
Stancante e logorante come un cappotto vecchio che non
scalda per nulla.
Telegiornali sciamanti notizie ripiene di ansia.
Pil in calo, inflazione, deflazione, stagflazione, mib,
euribor, pedofilia e aggiotaggio.
Scioperi e abigeato.
Una giornata dura.
Torno tardi.
Quasi l’una.
La caffeina mi tiene sveglio: 7 caffè.
Un record.
Mi batte la tempia come se fossi ad un concerto tecno.
Vibro come una bandierina di mare agitato.
Una giornata dura.
Guido piano, il sonno mi stende.
Penso tutto il male possibile…
Ma quando tutto cade ecco una corda.
Accendo la radio.Sento un programma.
Una intervista che mi torce il cuore e l’anima.
Si chiama Nedo Fiani.
Arrivo a casa.
Non ho diritti,
non ho stanchezza nè tosse,
nè scuse nè alibi per non scrivere.
Non posso stendermi sotto delle lenzuola pulite e calde se
prima non do un cenno di vita.
Vero.
Che mi dimostri che sono un uomo.
Devo dirmi qualcosa.
che ho avuto la mia parte di gioia non guadagnata.
Che oggi non ho attraversato l’Europa in un vagone bestiame
al freddo e al buio.
Che oggi non ho dovuto abbracciare mia madre per
abbandonarla per sempre.
Che oggi non ho dovuto spogliarmi e spidocchiarmi o defecare
in pubblico con altri centinaia di persone.
Che oggi non ho visto morire centinaia di bimbi sani.
Che oggi non ho avuto in premio una legnata per il solo
fatto di esserci.
Beh…E’ già molto.
Ma non ho fatto molto perchè non si ripeta.
Scrivere è un primo passo.
Solo un primo passo. E si doveva fare prima di riposare.
Prima che passi la tosse.
Prima che il Mib risalga.
Perchè oggi è stata una giornata meravigliosa.
Grazie Signor Nedo.
"Nedo Fiano nel 1944 aveva 19 anni, fu arrestato,
internato a Fossoli, e quindi deportato in Germania, ad Auschwitz assieme al
padre alla madre e ad altri familiari: erano in undici e ritornerà soltanto
lui.
Fiano racconta con crudo realismo il terribile viaggio di
una settimana in un carro bestiame sovraffollato, con soltanto il pochissimo
cibo che erano riusciti a portarsi e con una sosta ogni giorno: tutti giù dal
treno per i bisogni corporali, l’uno vicino all’altro sulla massicciata
ferroviaria vincendo ritrosia e pudore; racconta come avesse intravisto il
fianco nudo della madre e come ciò lo avesse sconvolto.
Nell’interminabile viaggio, soltanto nel suo vagone, un
vecchio era morto e due neonati continuavano a piangere non trovando più latte
a sufficienza dalle madri.
Poi l’arrivo ad Auschwitz nella notte, e all’alba il
violento scarico, perché questo è il termine più appropriato, dei deportati dal
treno, con le SS con randelli e cani che urlavano ordini per la gran parte
incomprensibili e separavano in gruppi i deportati.
Faceva impressione sentire Nedo Fiano, che il tedesco lo
conosce bene, ripetere con realismo questi ordini quasi latrati.
Nonostante il viaggio terribile il padre di Fiano scese dal
treno con la giacca, il colletto duro e il cappello.
La madre fu separata dagli uomini e messa nel gruppo che, si
seppe dopo, sarebbe stato immediatamente portato alle camere a gas, sterminato
e bruciato nei forni.
Pur non conoscendo con esattezza il suo destino, la madre
capì che quella era l’ultima volta che vedeva il figlio e si abbracciarono con
le facce inondate di lacrime.
Il momento più terribile in assoluto, dirà Fiano rispondendo
alla domanda di un ragazzo.
Poi la vita nel campo e l’episodio che lo aveva “miracolato”
ed aveva consentito la sua sopravvivenza: all’inizio, ad una ispezione, un
maresciallo delle SS chiese chi fra i prigionieri conoscesse bene il tedesco
per fare da interprete, Fiano racconta che si sentì come sospinto dal nonno
(morto alcuni anni prima) che aveva molto insistito affinché il recalcitrante
nipote imparasse il tedesco.
Si presentò davanti al maresciallo che lo interrogò e che
rimase come folgorato apprendendo
che era nato a Firenze, evidentemente da lui conosciuta ed
ammirata.
Sta di fatto che venne messo nel gruppo degli interpreti, un
centinaio di uomini, che avevano l’incarico di essere presenti e di dare
istruzioni all’arrivo dei convogli dei deportati, di notte e di giorno.
Un incarico fisicamente meno pesante dei lavori in cava o
nelle fabbriche degli altri prigionieri.
Poi la descrizione della catena ininterrotta dello sterminio
di massa: ad Auschwitz si è arrivati a gassare e bruciare fino a diecimila
esseri umani al giorno, all’aperto quando i forni non ce la facevano: l’arrivo
dei convogli, la selezione dei più deboli, non utili ai lavori forzati, il
trasporto ai “bagni”, mille alla volta, l’obbligo di denudarsi nella
promiscuità completa (un grave shock per persone strappate alle abitudini
borghesi, sbattute nell’inferno e trattate come non-persone), le scarpe da
legare fra di loro con le stringhe, per ritrovarle più facilmente dopo il
bagno, dicevano, gli abiti appesi, e ricordatevi il numero.
Poi nella camera delle “docce”, le camere a gas: le luci si
spegnevano e veniva introdotto il micidiale Ziklon B che però non uccideva
istantaneamente, ci volevano cinque minuti, cinque minuti di agonia atroce e
nessuno può immaginare cosa quelli che venivano uccisi potevano provare.
Poi i “Sonder Kommando”, le squadre speciali dei prigionieri
addetti al “trattamento” dei cadaveri, tutti destinati ad essere a loro volta
uccisi.
I cadaveri nudi venivano ispezionati, ano e vagina, per
vedere se non avevano dei preziosi nascosti, venivano strappati i denti d’oro,
alle donne venivano tagliati i capelli.
Poi i cadaveri venivano sbattuti su delle specie di barelle,
portati con il montacarichi al piano superiore ed infilati nei forni crematori:
50 minuti a trecento gradi e dal fondo dei forni veniva scaricata la cenere che
poi veniva trasportata con camion ribaltabili e buttata nella Vistola.
Pare che i pesci apprezzassero molto questa pastura
umana…"

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