mercoledì 4 novembre 2015
IL SACRO POCO...
Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù.
Pier Paolo Pasolini
martedì 20 ottobre 2015
sabato 17 ottobre 2015
Io non sono come gli altri......
Brucia all’inferno
questa parte di me che non si trova bene in nessun posto
mentre le altre persone trovano cose
da fare
nel tempo che hanno
posti dove andare
insieme
cose da
dirsi.
Io sto
bruciando all’inferno
da qualche parte nel nord del Messico.
Qui i fiori non crescono.
Non sono come
gli altri
gli altri sono come
gli altri.
Si assomigliano tutti:
si riuniscano
si ritrovano
si accalcano
sono
allegri e soddisfatti
e io sto
bruciando all’inferno.
Il mio cuore ha mille anni.
Non sono come
gli altri.
Morirei nei loro prati da picnic
soffocato dalle loro bandiere
indebolito dalle loro canzoni
non amato dai loro soldati
trafitto dal loro umorismo
assassinato dalle loro preoccupazioni.
Non sono come
gli altri.
Io sto
bruciando all’inferno.
L’inferno di
me stesso.
Charles Bukowski
giovedì 10 settembre 2015
lunedì 10 agosto 2015
GABBIANI...
Non so dove i gabbiani abbiano il
nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il
cibo.
E come forse anch'essi amo la
quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
lunedì 22 giugno 2015
Senza far rumore.....
Senza far rumore
Lascio i suoni della vita
E mi rapisce
L’aquila sulla vetta…
Senza pensieri
Divento il Nulla
Tra i tramonti e i mari
E in attesa lascio le spoglie infreddolite
A ricamare le tele del tempo.
Senza godere vibro
Tra intercapedini di foglie appese
Nei parchi del sentiero amico.
E misuro la luna
Alla luce di un’alba tenue.
Senza aspettare più nessuno
Sento calore
In ogni fiocco di neve che cade
Nel buio dell’anima…
Semplici colori
Annuso in nuvole che girano il mondo..
In emisferi differenti
E sto bene così..
Tra le pareti di cieli Andalusi!
Giusi Pontillo
giovedì 12 febbraio 2015
GRAZIE SIGNOR NEDO...
Oggi è stata una giornata dura.
Raffreddore, febbre, tosse.
Meeting, clienti scontrosi, colleghi preoccupati...
Auto guaste, traffico e nebbia, la multa di un ente su
alcune gabelle di 10 anni fa dimenticate da una agenzia distratta.
Una giornata dura.
Stancante e logorante come un cappotto vecchio che non
scalda per nulla.
Telegiornali sciamanti notizie ripiene di ansia.
Pil in calo, inflazione, deflazione, stagflazione, mib,
euribor, pedofilia e aggiotaggio.
Scioperi e abigeato.
Una giornata dura.
Torno tardi.
Quasi l’una.
La caffeina mi tiene sveglio: 7 caffè.
Un record.
Mi batte la tempia come se fossi ad un concerto tecno.
Vibro come una bandierina di mare agitato.
Una giornata dura.
Guido piano, il sonno mi stende.
Penso tutto il male possibile…
Ma quando tutto cade ecco una corda.
Accendo la radio.Sento un programma.
Una intervista che mi torce il cuore e l’anima.
Si chiama Nedo Fiani.
Arrivo a casa.
Non ho diritti,
non ho stanchezza nè tosse,
nè scuse nè alibi per non scrivere.
Non posso stendermi sotto delle lenzuola pulite e calde se
prima non do un cenno di vita.
Vero.
Che mi dimostri che sono un uomo.
Devo dirmi qualcosa.
che ho avuto la mia parte di gioia non guadagnata.
Che oggi non ho attraversato l’Europa in un vagone bestiame
al freddo e al buio.
Che oggi non ho dovuto abbracciare mia madre per
abbandonarla per sempre.
Che oggi non ho dovuto spogliarmi e spidocchiarmi o defecare
in pubblico con altri centinaia di persone.
Che oggi non ho visto morire centinaia di bimbi sani.
Che oggi non ho avuto in premio una legnata per il solo
fatto di esserci.
Beh…E’ già molto.
Ma non ho fatto molto perchè non si ripeta.
Scrivere è un primo passo.
Solo un primo passo. E si doveva fare prima di riposare.
Prima che passi la tosse.
Prima che il Mib risalga.
Perchè oggi è stata una giornata meravigliosa.
Grazie Signor Nedo.
"Nedo Fiano nel 1944 aveva 19 anni, fu arrestato,
internato a Fossoli, e quindi deportato in Germania, ad Auschwitz assieme al
padre alla madre e ad altri familiari: erano in undici e ritornerà soltanto
lui.
Fiano racconta con crudo realismo il terribile viaggio di
una settimana in un carro bestiame sovraffollato, con soltanto il pochissimo
cibo che erano riusciti a portarsi e con una sosta ogni giorno: tutti giù dal
treno per i bisogni corporali, l’uno vicino all’altro sulla massicciata
ferroviaria vincendo ritrosia e pudore; racconta come avesse intravisto il
fianco nudo della madre e come ciò lo avesse sconvolto.
Nell’interminabile viaggio, soltanto nel suo vagone, un
vecchio era morto e due neonati continuavano a piangere non trovando più latte
a sufficienza dalle madri.
Poi l’arrivo ad Auschwitz nella notte, e all’alba il
violento scarico, perché questo è il termine più appropriato, dei deportati dal
treno, con le SS con randelli e cani che urlavano ordini per la gran parte
incomprensibili e separavano in gruppi i deportati.
Faceva impressione sentire Nedo Fiano, che il tedesco lo
conosce bene, ripetere con realismo questi ordini quasi latrati.
Nonostante il viaggio terribile il padre di Fiano scese dal
treno con la giacca, il colletto duro e il cappello.
La madre fu separata dagli uomini e messa nel gruppo che, si
seppe dopo, sarebbe stato immediatamente portato alle camere a gas, sterminato
e bruciato nei forni.
Pur non conoscendo con esattezza il suo destino, la madre
capì che quella era l’ultima volta che vedeva il figlio e si abbracciarono con
le facce inondate di lacrime.
Il momento più terribile in assoluto, dirà Fiano rispondendo
alla domanda di un ragazzo.
Poi la vita nel campo e l’episodio che lo aveva “miracolato”
ed aveva consentito la sua sopravvivenza: all’inizio, ad una ispezione, un
maresciallo delle SS chiese chi fra i prigionieri conoscesse bene il tedesco
per fare da interprete, Fiano racconta che si sentì come sospinto dal nonno
(morto alcuni anni prima) che aveva molto insistito affinché il recalcitrante
nipote imparasse il tedesco.
Si presentò davanti al maresciallo che lo interrogò e che
rimase come folgorato apprendendo
che era nato a Firenze, evidentemente da lui conosciuta ed
ammirata.
Sta di fatto che venne messo nel gruppo degli interpreti, un
centinaio di uomini, che avevano l’incarico di essere presenti e di dare
istruzioni all’arrivo dei convogli dei deportati, di notte e di giorno.
Un incarico fisicamente meno pesante dei lavori in cava o
nelle fabbriche degli altri prigionieri.
Poi la descrizione della catena ininterrotta dello sterminio
di massa: ad Auschwitz si è arrivati a gassare e bruciare fino a diecimila
esseri umani al giorno, all’aperto quando i forni non ce la facevano: l’arrivo
dei convogli, la selezione dei più deboli, non utili ai lavori forzati, il
trasporto ai “bagni”, mille alla volta, l’obbligo di denudarsi nella
promiscuità completa (un grave shock per persone strappate alle abitudini
borghesi, sbattute nell’inferno e trattate come non-persone), le scarpe da
legare fra di loro con le stringhe, per ritrovarle più facilmente dopo il
bagno, dicevano, gli abiti appesi, e ricordatevi il numero.
Poi nella camera delle “docce”, le camere a gas: le luci si
spegnevano e veniva introdotto il micidiale Ziklon B che però non uccideva
istantaneamente, ci volevano cinque minuti, cinque minuti di agonia atroce e
nessuno può immaginare cosa quelli che venivano uccisi potevano provare.
Poi i “Sonder Kommando”, le squadre speciali dei prigionieri
addetti al “trattamento” dei cadaveri, tutti destinati ad essere a loro volta
uccisi.
I cadaveri nudi venivano ispezionati, ano e vagina, per
vedere se non avevano dei preziosi nascosti, venivano strappati i denti d’oro,
alle donne venivano tagliati i capelli.
Poi i cadaveri venivano sbattuti su delle specie di barelle,
portati con il montacarichi al piano superiore ed infilati nei forni crematori:
50 minuti a trecento gradi e dal fondo dei forni veniva scaricata la cenere che
poi veniva trasportata con camion ribaltabili e buttata nella Vistola.
Pare che i pesci apprezzassero molto questa pastura
umana…"
martedì 13 gennaio 2015
Buon viaggio, Pino!
In un'epoca di brutture, menzogne, violenza e ladrocini,
non abbiamo bisogno di perdere i Poeti.
Ed invece sono proprio loro a lasciarci...
non abbiamo bisogno di perdere i Poeti.
Ed invece sono proprio loro a lasciarci...
Canta per gli Angeli, grande Pino!
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